Psicologia del Vittimista

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By: | Tags: , , , , , , | Comments: 0 | Luglio 26th, 2020

Il vittimista è colui o colei che ha “l’inclinazione a fare la vittima, ovvero tende a sentirsi sempre oppresso, perseguitato, osteggiato e danneggiato da persone e circostanze e a lamentarsene, ma a volte anche a compiacersene” (Vocabolario Treccani). C’è una sostanziale differenza tra la vittima ed il vittimista. Mentre la vittima ha davvero subito un danno da parte di qualcun altro e, in qualche modo, ha dei buoni motivi per provare una certa sofferenza, il vittimista tende ad ingigantire i fatti che accadono nella sua vita, vivendoli sempre in maniera drammatica e persecutoria, quasi sempre colpevolizzando qualcuno. Il vittimista ha sempre bisogno di individuare un colpevole, anzi, talvolta il vittimista “crea” il colpevole. Il vittimista frequenta il suo “colpevole designato”, comincia a percepire e rilevare diversi elementi che possano costituire prova del fatto che l’altro sia davvero colpevole di esercitare violenza o danno nei suoi confronti e, quando la sua mente è colma di dati che dimostrerebbero la colpevolezza dell’altro, fa scoppiare la bomba accusandolo. Ma il vittimista non è contento di formulare delle semplici accuse in privato, deve rendere pubbliche le accuse per crearsi anche una platea di giudici in suo favore. Purtroppo il malcapitato, individuato dal vittimista come colpevole, rischia talvolta d’incorrere in tragici guai, anche di tipo giudiziario, senza che ne abbia avuto in precedenza il benché minimo sentore dalla relazione col vittimista. Il vittimista ha spesso un carattere di tipo narcisistico/istrionico, ovvero tende a mettersi in mostra in qualunque modo, facendo della sua sofferenza il baluardo della sua identità, non curandosi affatto del danno personale che può arrecare agli altri col suo comportamento. Possiamo dire che il vittimista è un bugiardo patologico che focalizza le sue bugie sulla sua vittima designata. Paradossalmente, il vittimista usa il suo atteggiamento da vittima per diventare il carnefice del suo colpevole designato. Avendo un esagerato bisogno di attenzioni, il vittimista ricorre alla manipolazione, assumendo degli atteggiamenti falsamente sofferenti, per attrarre la compassione e, al contempo, la solidarietà degli altri. Non riuscendo ad affrontare le sue problematiche relazionali in modo maturo, evidentemente il vittimista ha una scarsa autostima che lo induce a ricorrere ai suoi giochi manipolativi perversi, al fine di emergere tra la gente, creandosi tutte le storie possibili per far si che si accendano i riflettori su di sé. Proviamo a vedere più da vicino i meccanismi manipolativi usati dal vittimista nei confronti del suo falso carnefice. Il vittimista, delegittimando continuamente l’altro, tende a fargli “saltare i nervi” ed a stimolare la sua aggressività, riuscendoci quasi sempre. In questo modo, il falso carnefice cade nella trappola manipolativa del vittimista, dandogli conferma del suo essere violento. Il vittimista manipola le emozioni dell’altro, trovando tutti gli elementi per farlo sentire in colpa, usando frasi del tipo: “mi sono fidato di te e tu mi hai tradito in questo modo”. Il vittimista, pur di raggiungere i suoi scopi, tende a manipolare anche i dati di realtà, negando tutte le evidenze e rispondendo a chi incalza contro di lui con ulteriore atteggiamento vittimistico. Inoltre, allo scopo di assumere una posizione di superiorità nei confronti del suo falso colpevole, il vittimista può ricorrere al meccanismo del perdono, trasformandosi da vittima a salvatore. Evidentemente, il vittimista ha delle problematiche interiori che lo costringono inconsciamente ad assumere questa identità, ad esempio, una relazione originaria di attaccamento con i genitori (specialmente con la madre) di tipo frustrante e/o  giudicante, che lo indurrebbe ad essere giudicante e punitivo; sviluppo di un forte senso di inadeguatezza come figlio e come persona che, conseguentemente, genererebbe un forte senso d’invidia nei confronti degli altri; scarsa capacità di riconoscimento delle proprie emozioni che indurrebbe la persona a proiettare sugli altri i propri conflitti interiori più ancestrali, generando così una coazione a ripetere sempre lo stesso copione, basato su questa subdola e pericolosa aggressività.

Fabio Settipani - MioDottore.it